L’Italia ha chiuso al sesto posto la Mixed Relay ai Giochi Olimpici di Parigi. Gianluca Pozzatti, Alice Betto, Alessio Crociani e Verena Steinhauser si sono espressi al meglio con convinzione e determinazione, ci hanno fatto emozionare e hanno sportivamente lottato al massimo delle loro possibilità. E il piazzamento ottenuto a Tokyo 2020 (8°) è stato migliorato di due posizioni.
Un buon risultato? Si. Una bella e avvincente gara? Si. Gli Azzurri hanno onorato i nostri colori? Si. Gli obiettivi sono stati raggiunti? No.
Ci soffermiamo, ancora una volta, sulla differenza sostanziale che c’è tra tifoso e dirigente e tecnico, tra alto livello e sport per tutti, tra visione chiara e totale assenza di pianificazione.
Gli obiettivi – anche se pubblicamente non sono stati comunicati in maniera chiara e trasparente (quante dichiarazioni ha fatto il DT in questi 3 anni? E il DS?) – erano ben definiti: top-8 nelle gare individuali, e di questo fallimento abbiamo già parlato, e una medaglia nella prova della staffetta mista.
Ripetiamo: gli atleti hanno dato il massimo, hanno fatto il meglio possibile, ce ne siamo resi conto, lo abbiamo percepito tutti con orgoglio, ma non ci si può fermare a questo in fase di analisi della prestazione quando si parla di alto livello.
Il presidente, molto presente sui social, nelle dichiarazioni sui canali istituzionali e anche in tv, non ha mai dichiarato espressamente l’obiettivo fissato dall’area tecnica di cui è il responsabile: perché questa paura di dichiarare qual è la nostra missione? Se il nostro 100% non basta per raggiungere gli obiettivi prefissati, leggi conquistare una medaglia olimpica, dobbiamo porci dei seri interrogativi e capire ciò che non è andato nella programmazione e nel processo anziché limitarsi a compiere ragionamenti superficiali che ci allontanano sempre di più dalla concretezza necessario per fare il salto di qualità in ambito élite.
Va aggiunto che la formazione italiana era la meno giovane in gara con 30,2 anni di età media per frazionista. Verso Los Angeles 2028, le prospettive non sono così rosee a meno che non si compia una repentina virata che consenta di cambiare decisamente e rapidamente rotta.
Delle olimpioniche di Parigi, Alice Betto si avvia a fine carriera e Verena Steinhauser a Los Angeles sarebbe al terzo ciclo olimpico a 34 anni. Oltre a Ilaria Zane, che a Los Angeles avrebbe 36 anni, le attuali atlete potenzialmente candidabili per un posto in nazionale mostrano un’esperienza scarsa in ambito di partecipazione ed esposizione ai massimi livelli di competizione, sia individuale che di squadra. A esclusione di Alessio Crociani, formidabile interprete della specialità, e Gianluca Pozzatti, che nel 2028 avrebbe 35 anni e non si ha la certezza che continui, gli uomini della squadra azzurra in prospettiva Los Angeles possono contare su Nicola Azzano, che, con 4 presenze nel massimo circuito WTCS individuale e 6 in staffetta è l’unico atleta ad avere un bagaglio internazionale ad alto livello. È evidente che ci sia un gap da colmare molto velocemente per portare gli atleti più giovani ad accumulare esperienza ai massimi livelli delle competizioni internazionali.
Altro dato significativo è la totale assenza di intere annate di atleti capaci di sviluppare la carriera sportiva internazionale. Sono assenti maschi 2000, 2002 e 2003, mentre nelle donne c’è una sola atleta per le annate 2001-2002-2003-2004. Dati alla mano, si evince che è totalmente da ripensare la gestione del passaggio tra il settore giovanile e quello élite.
Soffriamo quando sentiamo proclami come “risultato storico, il nostro miglior risultato di sempre” per un sesto posto (non abbiamo notato proclami per un piazzamento da diploma olimpico da parte delle altre federazioni sportive), ci fa ancora più male quando si millanta un “cambiamento culturale”.
Il cambiamento, effettivamente, c’è stato: ha cancellato la capacità di guardare al futuro concretamente, senza necessariamente creare una contrapposizione a orologeria con ciò che in passato è stato fatto bene, ha annichilito la cultura sportiva della prestazione, ha cancellato una delle caratteristiche imprescindibili della Federazione stessa che deve soltanto lavorare per la crescita dello sport e anziché agire contro qualcuno, ha evidenziato una narrazione sbilanciata sui social media e davanti alle telecamere nei confronti di un’impostazione che non risulta essere al passo con i tempi, ma soltanto atta ad alimentare il consenso.
Ci vediamo a Los Angeles, questo è sicuro, confidando che il timone di questa Federazione sia in mano a chi veramente vuole mettere gli atleti al centro del progetto.
Noi siamo certi di poterlo fare, mantenendo viva la passione del tifoso, ma con la lucidità e la competenza di dirigenti e tecnici che hanno come unico obiettivo il bene del triathlon italiano.