Più di 300 gare all’attivo, dal 1999 ad oggi, un percorso completo nel triathlon, dal settore giovanile al mondo élite prima di diventare tecnico. Jacopo Butturini ha vissuto questo sport per 25 anni: ecco perché la sua esperienza è fondamentale per la nostra squadra.
Jacopo vanta convocazioni con la nazionale giovanile e diverse partecipazioni a Coppe Continentali e World Cup. Nasce agonisticamente come nuotatore, disciplina in cui ottiene diversi risultati di livello sino a raggiungere i Campionati Italiani di Categoria nel 2007. Proprio l’anno successivo, ha deciso di virare verso il triathlon, sport in cui trova equilibrio e affermazione. Ora è un allenatore professionista a tempo pieno di diverse discipline di endurance e preparatore atletico.
Dal punto di vista accademico, è laureato dapprima in Scienze Politiche presso l’Università di Trento e successivamente, visto il suo grande interesse e la sua grande passione per lo sport, in Scienze Motorie a Verona. Ora sta conseguendo la laurea magistrale in Scienze dello Sport e della Prestazione Fisica presso l’Università di Verona, in attesa solamente di discutere la tesi. Nel periodo universitario, ha collaborato nell’organizzazione di diversi eventi a scopi di ricerca come la Run for Science.
Ora ha deciso di mettersi nuovamente in gioco per il triathlon, scegliendo di supportare attivamente Daniele Moraglia e la sua squadra con l’intento di contribuire con la sua esperienza alla crescita e all’atteso cambiamento che questo sport merita, quello sport a cui ha dedicato con passione e dedizione gran parte della sua vita.
L’interpretazione di un fatto o la formulazione di un giudizio in corrispondenza di un criterio soggettivo e personale, oppure una convinzione in materia morale, politica, sociale, religiosa. Queste sono due definizioni di opinione, un concetto che spesso viene abbinato a quello di libertà.
Proprio quella libertà di opinione (o di di manifestazione del pensiero, per i più eruditi) che viene descritta e sancita in Costituzione, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma che non viene applicata in Federazione Italiana Triathlon.
“La comunità del triathlon”, “noi siamo uno”, “il gioco di squadra”, sono soltanto alcune delle espressioni usate ricorrentemente come dei mantra per far intendere di quanto il movimento sia coinvolgente, inclusivo, equo, che guardi tanto al vertice, quanto alla base. Un movimento in cui tutti possono esprimere la loro opinione. Si, purché sia favorevole. Se un tesserato esprime dissenso, arriva a bussare la giustizia sportiva, se i pareri contrari vengono espressi da soggetti non tesserati, si chiama in ballo la giustizia ordinaria, magari partendo con l’invio di una diffida.
Ma non ci lamentiamo troppo: ci sono i social, quello sì che è l’ecosistema adatto per confrontarsi, divulgare un punto di vista, manifestare le proprie idee. Finché i commenti non vengono cancellati o non si viene bloccati.
Quei social che crescono a dismisura (sebbene sui campi gara le persone siano sempre meno), che sono lo strumento di condivisione del presente, che mettono in luce quanto di buono viene costantemente fatto. Quei social che appiattiscono il valore delle cose, che uniformano ogni concetto e che annientano i valori di importanza e qualità.
Quando si conquistano spazi sulla stampa che conta, ci si dimentica che siamo nell’anno dei Giochi Olimpici e Paralimpici e si mettono da parte le stelle del nostro movimento per dare voce soltanto a chi dovrebbe lavorare dietro le quinte per valorizzare atleti, tecnici e dirigenti che sono la spina dorsale dello sport italiano (ma non soltanto ripetendo la solita poesia imparata a memoria che sentiamo ormai da anni). Bisogna sempre nutrire il consenso, d’altra parte, noi siamo uno.
Guai a fare opposizione, che per definizione si assume l’impegno di essere una forza alternativa che garantisce il pluralismo e la separazione dei poteri. Non bisogna nemmeno parlare con chi non ha idee allineate o semplicemente esprime critiche costruttive: in tal caso, o si viene richiamati all’ordine (in tutti i sensi), o si viene indicati come coloro che guardano “dal buco della serratura”, dunque sottolineando quanto siano esclusive le stanze dei bottoni e quegli ambienti che davvero contano.
Meno male che, guardando attentamente da alcune fessure non presidiate, qualcosa si intravede. Questo è l’unico modo, purtroppo, poiché di documenti ufficiali (delibere, queste sconosciute) se ne vedono pochi, di resoconti e dirette streaming dei consigli federali ancora meno.
Non ci accontentiamo dei numeri gonfiati, delle dichiarazioni sfavillanti, dei sorrisi mostrati a orologeria e non contempliamo che le risposte debbano filtrare solo quando qualcosa sfugge maldestramente al controllo centrale.
Non lo accettiamo e non accetteremo alcuna censura, né ora, né quando saremo chiamati a prendere posto tra gli organi centrali e periferici di questa Federazione, perché, sebbene in certe circostanze “disapproveremo quello che direte, difenderemo fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. Gli amici di Voltaire ci perdoneranno, qualcun altro forse no.
All’uscita della news riguardo il raduno giovanile di Porto Sant’Elpidio, dobbiamo essere sinceri, siamo rimasti decisamente stupiti. Abbiamo dovuto rileggere più volte per essere sicuri che quel “91 atleti convocati” (più una quindicina di tecnici, nessuno dei quali donna!) fosse realmente scritto sul comunicato federale.
Oggi, ultimo giorno dello stesso, vogliamo fare una riflessione.
Questa volta sì che è stata fatta la storia! Mai in precedenza si erano organizzati raduni nazionali (o dovremmo dire adunate?) con così tanti atleti. Quali potrebbero essere le motivazioni che hanno portato la struttura tecnica a questo deciso cambio di rotta con il passato?
Dal punto di vista tecnico, non esiste un solo motivo per cui lavorare con un gruppo di atleti così allargato porti benefici rispetto al lavoro con un gruppo più ristretto. Tralasciando le ovvie problematiche di tipo logistico (sarà necessario fare due o più turni per l’uso della piscina, gli allenamenti di ciclismo dovranno prevedere la suddivisione in 5 o 6 gruppi con l’utilizzo di altrettanti mezzi al seguito, etc), l’aspetto principale è che i tecnici vedranno sminuito il loro lavoro, non potranno dedicare la necessaria attenzione a tutti gli atleti presenti e il loro contributo non potrà che essere molto superficiale. I raduni, inoltre, sono sempre stati una preziosa occasione per conoscere gli atleti, capire come lavorano quotidianamente, conoscere il loro carattere, le loro motivazioni e capire le difficoltà che incontrano: questo non può che essere fatto parlando con loro. Visto il numero di atleti convocati, anche questo aspetto non potrà che essere trascurato.
Dal punto di vista culturale, la rottura con la precedente impostazione è netta. Fino allo scorso quadriennio esistevano delle liste in cui gli atleti del settore giovanile venivano suddivisi in base ai risultati raggiunti e al livello di competenze acquisito, e sulla base di queste gli atleti venivano invitati a partecipare ai raduni nazionali (Lista A), di macroarea (Lista B) o regionali (Lista C). L’idea era quella di avere da un lato gruppi il più omogenei possibile con cui lavorare, dall’altro rendere evidente a tutti gli attori del settore giovanile quale fosse il “percorso” individuato dalla Federazione per sviluppare l’eccellenza e supportare gli atleti nei vari step di crescita.
Ora questo concetto sembra essere venuto meno: la scelta sembra essere quella di coinvolgere in attività centralizzate il maggior numero di giovani atleti possibile, indipendentemente dal livello di maturazione sportiva raggiunto e soprattutto senza una chiara indicazione dei criteri di accesso a queste attività. La centralizzazione delle attività sembra, inoltre, sottintendere una scarsa considerazione da parte della Federazione Nazionale circa la capacità delle strutture periferiche, Macroarea e Regionali, di offrire adeguate opportunità di sviluppo agli atleti dei loro territori. Eppure, almeno sulla carta, le competenze ci sarebbero, viste le decine e decine di tecnici regionali e responsabili vari presenti in organigramma federale.
Il nostro dubbio è che anche l’attività giovanile venga vista da qualcuno come un’ulteriore occasione di ricerca del consenso e che quindi anche le scelte tecniche vengano condizionate da una volontà superiore di non scontentare nessuno e, anzi, far felici più persone possibili, indipendentemente dal merito.
A nostro avviso, il tutto può essere ricondotto alla scelta della strada da seguire: da una parte la valorizzazione del merito, del percorso di crescita e della Maglia Azzurra (non dimentichiamoci che stiamo parlando di un raduno nazionale), dall’altra la volontà di far contenti tutti, pur trascurando gli aspetti qualitativi.
Dai fatti emerge chiaramente quale sia la strada intrapresa dall’attuale dirigenza (le convocazioni a questo raduno sono solo l’ultima conferma). Noi, come squadra di lavoro, siamo totalmente in accordo sulla scelta della strada del merito, per questo alcuni dei principi alla base del programma di Daniele Moraglia sono proprio la valorizzazione del merito e la tutela del percorso di crescita dell’atleta. Nel rispetto di questi principi, Daniele, quando verrà eletto, farà in modo che qualunque tipo di convocazione nazionale risponda a criteri chiari, semplici, ma soprattutto oggettivi.
Ho deciso di scrivere questo articolo per fare chiarezza su alcuni aspetti riguardo a presunti “risultati storici” raggiunti in ottica di Parigi 2024 dall’attuale staff tecnico della Federazione Italiana Triathlon, su commenti su social media non corrispondenti al vero e riguardo a interviste di dubbio contenuto e gusto rilasciate dal presidente Giubilei.
Partiamo dall’ultimo punto.
Sono rimasto basito dalla dichiarazione del presidente Giubilei in un’intervista rilasciata a ilgiornale.it, di seguito riportata:
“Ora l’obbiettivo è quello di qualificare una terza donna, risultato che probabilmente avrebbe già potuto essere raggiunto se Alice Betto, diventata mamma lo scorso anno, non avesse saltato gare per la gravidanza.”
Ritengo una simile dichiarazione inappropriata e offensiva in quanto credo che Alice, come tutte le atlete abbiano il diritto di diventare mamme nel momento che ritengono più opportuno.
Essendo la qualificazione non nominativa, l’area tecnica avrebbe dovuto e potuto programmare meglio la partecipazione della rosa di atlete a disposizione per raccogliere il massimo risultato possibile. Al tempo stesso validare un regolamento interno oggettivo e chiaro per la qualifica nominativa degli atleti.
Passiamo al secondo punto. Ci sono molti commenti inesatti sui social e non si fa nulla per provare a mettere chiarezza. Per esempio: le Nazioni, compresa l’Italia, possono portare alle Olimpiadi un numero massimo di 3 uomini e 3 donne. Nel caso di partecipazione alle gare individuali e Mixed Relay, gli atleti che partecipano alle gare individuali, compongono la Mixed Relay. Perché, non chiarire? Certo, dire che si portano 10 atleti ai Giochi Olimpici è meglio che portarne 4, 5 o 6 e se fatto un raffronto con il passato, potrebbe uscirne un nuovo record da sbandierare in faccia a chi prende tutto per vero.
Infine, il terzo punto. Partiamo da un po’ di storia. Il triathlon ha fatto il suo debutto olimpico con le sole gare individuali ai Giochi Olimpici di Sydney 2000. La staffetta, nella formula 2+2, ha visto il debutto 21 anni più tardi, all’Olimpiade di Tokyo 2020 (disputata nel 2021).
Quali e quanti gli atleti italiani qualificati a ogni edizione?
Sydney 2000– 3
1 uomo (Bottoni) – 2 donne (Gemignani e Cigana)
Atene 2004– 3
3 donne (Cortassa, Lanza e Gemignani)
Pechino 2008– 4
2 uomini (Fontana e D’Aquino) – 2 donne (Bonin e Chmet)
Londra 2012 – 3
2 uomini (Fabian e Uccellari) – 1 donna (Mazzetti)
Rio 2016 – 4
2 uomini (Fabian e Uccellari) – 2 donne (Bonin e Mazzetti)
Tokyo 2020– 5
2 uomini (Pozzatti e Stateff) – 3 donne (Betto, Steinhauser e Olmo) – 1 Mixed Relay (Steinhauser, Pozzatti, Betto e Stateff)
Passiamo al presente: per qualificare la Mixed Relay ci sono 4 criteri + 1 (essere la Nazione ospitante le Olimpiadi):
o aver vinto i Mixed Relay World Championships 2022 e 2023
o risultare tra le prime sei Nazioni della classifica di qualificazione Olimpica della Mixed Relay al 25 marzo 2024
o arrivare nelle prime due posizioni nell’evento Mixed Relay di Huatulco che si terrà tra il 17 maggio 2024
o avere 2 atleti uomini e 2 atlete donne qualificate individualmente
Tra questi, c’è un criterio più importante o prestigioso di un altro? A mio avviso, no. Ogni Nazione può decidere il proprio percorso di qualifica in base alla propria tipologia di atleti.
Essendosi l’Italia qualificata all’edizione di Tokyo 2020, l’unico fatto storico che poteva accadere a Parigi 2024 sarebbe stato il NON prendere parte alla Team Relay.
Per chi volesse approfondire i criteri di qualificazione Individuali e Team Relay, la World Triathlon ha provato a sintetizzarli in questo articolo.
Anche se le speranze sono oggettivamente ridotte al lumicino, mi auguro che si qualifichi la terza donna: quando c’è la Nazionale e un body azzurro di mezzo, ancora di più se parliamo di Giochi Olimpici, siamo tutti tifosi dell’Italia (compresi coloro che espongono le proprie critiche). Se questo miracolo sportivo si realizzasse, sarei convinto che il merito sarà esclusivo dell’atleta e non dell’area tecnica che, oltre ad aver peccato di presunzione, ha dimostrato di non sapere programmare.
Settimana scorsa ho analizzato in maniera oggettiva il calo di tesserati.
Voglio, ora, fare un’ulteriore analisi e vedere nel dettaglio quanto questo calo influenzi l’andamento del nostro movimento.
Prima di iniziare, quanti sono i singoli tesserati atleti della Federazione Italiana Triathlon? Ecco la risposta:
Anno
Atleti
Variazione % rispetto anno precedente
2015
18.507
2016
20.736
+12,05%
2017
22.231
+7,21%
2018
22.897
+3%
2019
22.916
+0,08%
2020
18.927
-17,40%
2021
26.597
+40,52%
2022
22.432
-15,66%
2023
21.482
-4,24%
Tralasciando i numeri del 2020, anno del COVID-19 durante il quale molti non hanno rinnovato il tesseramento per ovvie ragioni; il 2021, anno di insediamento di Riccardo Giubilei alla presidenza, poteva essere sfruttato decisamente meglio.
Nell’anno post COVID-19, infatti, tanti si sono avvicinati agli sport di Endurance/Outdoor, alcuni anche al triathlon. Tanto è vero che rispetto al 2019 si segnò un +16,06%. Un peccato, però, non siano stati fidelizzati e dal 2022 i numeri abbiano iniziato un’inesorabile discesa arrivata a certificare un calo di atleti del -6,26% rispetto al 2019, anno del record pre-covid e, addirittura, un calo di atleti del -19,23% rispetto al 2021, anno del record.
Questo, nonostante:
siano state messe in campo iniziative di incentivazione, soprattutto, a livello giovanile;
sia stata messa in piedi una campagna pubbli-promozionale a livello nazionale con il partner Suzuki;
siano state organizzate numerose gare internazionali (World Cup, World Triathlon Championship Series, Europe Triathlon Cup, Campionato Europeo Winter Triathlon, etc.)
Meno tesserati significa meno partecipazione alle gare?
Rispondo sempre con statistiche oggettive e non a sensazione:
Gli anni 2018 e 2019 praticamente si equivalgono, ma prendiamo a paragone il 2019 che è leggermente inferiore rispetto al 2018. Nel 2023 abbiamo avuto:
61 gare in meno (-9,98%)
12.181 atleti totali partiti in meno (-14,68%)
14.815 atleti italiani partiti in meno (-19,01%)
13 atleti partiti in media, in meno, a gara (-10,03%)
Gli atleti italiani tesserati hanno preso parte a 2,94 gare nel 2023, rispetto alle 3,40 nel 2019.
L’unico dato positivo è quello relativo agli stranieri che hanno scelto di gareggiare in Italia: 2.634 atleti partiti in più (+52,21%).
Analizziamo anche questi dati.
Nel 2023, rispetto al 2019:
2.915 atleti in meno che hanno preso parte ad almeno 2 gare (-22,77%)
il 46,02% dei tesserati ha preso parte ad almeno 2 gare contro il 55,86% del 2019
Una Caporetto su tutti i fronti, mi viene da commentare.
A fronte di un calo di tesserati del -6,26% si assiste a una diminuzione del -19,01% di atleti italiani ai nastri di partenza. Sicuramente da rivedere tutto il settore gare e non solo. Certo è che l’attuale dirigenza non ha il polso della situazione e non si rende conto delle dinamiche in corso!
Di cosa ha bisogno la Federazione Italiana Triathlon?
Con il mio gruppo di lavoro, abbiamo aperto un tavolo di confronto da tempo dal quale sono scaturite molte idee che si sono trasformate in progetti che non vediamo l’ora di presentarvi anche se dovrete avere ancora pazienza.
Tutto sarà svelato a tempo debito in quanto non vogliamo dare ulteriori vantaggi a chi dirige oggi, rispetto a tutti quelli che già ha.